Come hai imparato a parlare così bene l’italiano?
“Grazie mille per il complimento, ma ci tengo a precisare che non parlo così bene l’italiano, cerco semplicemente di praticare la lingua quando posso.
Nel 2004 ho avuto l’opportunità di trascorrere quattro mesi in Italia, nel nord, in un piccolo paese vicino a Bassano del Grappa, in Veneto. All’epoca mi ero preso una pausa dagli studi universitari: studiavo storia e comunicazione, ma avevo il desiderio di vedere il mondo, fare qualche esperienza lavorativa e imparare nuove lingue. Così ho deciso di partire: prima sono stato a Londra per qualche mese, poi in Italia.
Trovo che l’italiano sia una lingua molto interessante, bellissima da ascoltare. Mi affascinano la logica, la musicalità e il ritmo, elementi che mi hanno aiutato ad apprenderla un po’. In seguito, grazie al mio lavoro da giornalista, ho avuto anche l’occasione di praticarla in contesti professionali.”
Ci racconti cosa ti ha portato a visitare Trieste?
“Sono giornalista da quasi vent’anni e lavoro per Nemzeti Sport, lo storico quotidiano sportivo ungherese, fondato nel 1903. È un giornale con una grande tradizione e una lunga storia alle spalle.
Quando ho iniziato a lavorarci, mi occupavo soprattutto di calcio internazionale, in particolare del calcio italiano. Oggi mi concentro su temi che sento ancora più vicini: la storia del calcio, i suoi aspetti sociali e culturali, tutto ciò che va oltre il campo e che ha valore non solo oggi, ma anche per il futuro.
Proprio per questo ho deciso di fare un viaggio in Italia, con il sostegno del giornale, per cercare e raccontare storie calcistiche del passato. Ho organizzato un itinerario in cinque città italiane, ognuna legata a un tema diverso. Uno di questi è stato proprio Trieste negli anni ’30.”
Che impressione ti ha fatto Trieste e cosa ti ha colpito di più?
“Questa è stata la mia prima vera visita a Trieste. L’avevo attraversata in passato, ma non l’avevo mai vissuta davvero. Mi è piaciuta moltissimo, soprattutto per l’atmosfera unica che si respira nelle sue strade, nelle piazze, tra gli edifici. Camminando, avevo la sensazione che la storia fosse nell’aria.
Mi ha colpito in particolare Piazza Unità d’Italia: lì ho capito perché Trieste viene chiamata la Vienna sul mare. Guardando le case, le statue, i canali, ho avuto l’impressione che il legame con il periodo della monarchia austro-ungarica fosse ancora vivo, quasi tangibile.
Trieste riflette tanti tratti della cultura austriaca, ungherese e slovena: questa ricchezza culturale è qualcosa di speciale, e secondo me è anche un messaggio importante per il mondo di oggi.
Trieste mi ha fatto un’ottima impressione, davvero molto positiva. È una città dalla cultura straordinariamente ricca, con una memoria letteraria profonda: basti pensare a figure come Umberto Saba, James Joyce, Giorgio Pressburger, Claudio Magris…
Mi ha colpito così tanto che ho deciso di tornare con la mia famiglia: sento di doverci passare più tempo, per conoscerla meglio e viverla davvero.”
Da ungherese, quali connessioni, affinità o somiglianze hai notato tra Trieste e Budapest?
“Ci sono molte assonanze tra Trieste e Budapest: le strutture architettoniche, il carattere degli edifici, le piazze… tutto richiama un’estetica e un’atmosfera comune. Anche alcuni episodi storici contribuiscono a questo legame, soprattutto quelli più drammatici.
Penso, ad esempio, all’annuncio delle leggi razziali avvenuto proprio in Piazza Unità d’Italia. Quelle leggi costrinsero grandi allenatori ungheresi a lasciare l’Italia, come Árpád Weisz, che aveva vinto lo scudetto con l’Inter e per ben due volte con il Bologna. O come Ernő Erbstein, altra figura leggendaria del calcio ungherese, che fece parte della storia del Grande Torino e perse la vita nella tragedia di Superga.”
Guardando Trieste con lo sguardo di chi racconta lo sport, quali punti di contatto vedi tra Trieste e Budapest?
“A partire dagli anni ’30, numerosi allenatori ungheresi hanno lavorato a Trieste, guidando la Triestina. Tra loro nomi importanti come Nemes Kovács Lajos, István Tóth-Potya, Béla Révész, Károly Csapkay, Jenő Konrád, János Nehadoma e Béla Guttmann.
Sono attualmente in contatto con la famiglia di Tóth-Potya e ho ricevuto dal nipote un prezioso archivio con documenti e lettere originali. Ho iniziato a studiare attentamente il suo periodo a Trieste, una fase della sua vita ancora poco esplorata, ma che può offrire informazioni nuove e molto interessanti.
Tra gli anni ’20 e ’40, si è creato un vero e proprio contingente ungherese nel calcio italiano, inizialmente come giocatori, poi sempre più come allenatori. Basti pensare che nella stagione 1931-32, il 63% degli allenatori in Serie A e Serie B era ungherese. Nella stagione 1933-34, proprio alla vigilia del primo Mondiale vinto dall’Italia, ben 14 delle 18 squadre di Serie A erano guidate da tecnici ungheresi.”
C’è un piccolo museo a Budapest dedicato al tuo bisnonno: ti va di raccontarci qualcosa in più?
“Sì, il mio bisnonno, Molnár-C. Pál, era un pittore. Visse anche in Italia per circa tre anni, dal 1928 al 1931, frequentando l’Accademia Ungherese di Roma.
Oggi il suo lavoro è custodito e valorizzato in un piccolo museo allestito proprio nel luogo dove viveva e lavorava, in via Ménesi út 65, a Budapest. È un museo di famiglia, molto intimo e affascinante.
Amava profondamente l’Italia: nei suoi taccuini si trovano numerosi schizzi e appunti di viaggio, con disegni di piccoli borghi italiani, ma anche di grandi città come Roma e Venezia.
Era un artista molto interessante, poliedrico. Da giovane aveva anche provato a giocare a calcio, ma non fu la sua strada.
Questo è l’indirizzo del sito web del museo: https://www.mcpmuzeum.hu/ “
TriBu.City, Due città, un’anima! è il movimento nato per valorizzare l’amicizia e accrescere i rapporti tra Trieste e Budapest, tra l’Italia e l’Ungheria. Cosa pensi di questa iniziativa?
“Ho visitato il vostro sito e devo dire che l’iniziativa mi è piaciuta molto. Trovo sempre positivo quando si cerca di scoprire e valorizzare i punti in comune tra città e culture diverse.
Mi ha colpito in particolare il vostro slogan: “A metà strada tra Budapest e Roma” — lo trovo davvero efficace.
Trieste merita di essere visitata, e sono felice che esista un progetto come il vostro, che punta a rafforzare i legami tra Budapest e Trieste. Legami che sono già naturali, per storia e somiglianze, ma che grazie a iniziative come questa possiamo rendere ancora più forti e visibili.”
Péter Csillag
Péter Csillag (Budapest, 2 settembre 1983) è un giornalista e storico del calcio. Scrive per il quotidiano sportivo ungherese Nemzeti Sport dal 2006 ed è ideatore e conduttore del progetto Hátsó füves, che esplora il calcio ungherese da una prospettiva sociale e culturale.
Autore di numerosi volumi dedicati alla memoria sportiva, ha pubblicato libri che raccontano il calcio attraverso la lente della storia, della società e dell’identità nazionale, tra cui Ady stoplisban (2019), Hátsó füves (2020), Kapufák és kényszerítők (2020), Ha a pályák mesélni tudnának… (2021), Oldalvonal (2021), Budapest futballkönyve (2023), Nyers István – a világcsavargó Inter-gólkirály (2024).
Nel corso della sua carriera ha ricevuto importanti riconoscimenti tra i quali: il Premio Junior Prima (2009), il Premio Feleki László per il giornalismo sportivo (2022) e il Premio Ezüstgerely per la fotografia sportiva amatoriale (2024).